giovedì 1 marzo 2018

Decameron, inizia con il racconto della peste l'opera più famosa di Boccaccio

[Questionario] Giovanni Boccaccio, all'inizio del Decameron, racconta la tragedia della peste del 1348 a Firenze. La maggior parte degli infettati moriva nel giro di tre giorni.

Ammalati di peste bubbonica (Illustrazione dalla Bibbia di Toggenburg, 1411.
Leggi il testo e rispondi alle domande in fondo al post.

Erano ormai trascorsi 1348 anni dall’Incarnazione di Cristo, quando nella nobile città di Firenze, la più bella tra tutte le altre città, giunse la pestilenza, la quale o a causa dei cieli, o per colpa delle nostre colpe peccaminose mandata da Dio sopra i mortali, già iniziata, alcuni anni prima in Oriente, dove aveva causato innumerevoli morti, senza mai fermarsi, passando di luogo in luogo era giunta in Occidente con incredibili conseguenze.
E poiché non valeva alcun senno o proponimento, per il quale la città fu pulita da molte sporcizie grazie ad ufficiali preposti a tale officio, per il divieto di alcun malato di entrare in città, di consigli per la pubblica sanità, e né ancora umili suppliche e processioni devozionali fatte da persone puramente religiose, all’inizio della primavera la peste cominciò a mostrare i suoi terribili effetti. E non si era manifestata come ad Oriente, dove l’uscita del sangue dal naso era indizio sicuro di morte, ma fa certi bubboni nell’inguine o sotto le ascelle sia nei maschi che nelle femmine; alcuni di questi crescevano delle dimensioni o di una mela comune, o di un uovo o tra l’uno o l’altro e queste il popolo chiamava “gaviccioli”. 

Da queste due parti corporali il bubbone cominciava ad espandersi ad altre parti del corpo; in seguito la malattia comincia a manifestarsi in macchie livide o nere, le quali nelle cosce, nelle braccia ed in altre parti del corpo apparivano a molti, ad alcuni spesse e rade, ad altri piccole e numerose. 
E come il bubbone era stato per coloro a cui era venuto indizio di morte, lo stesso per coloro che erano stati colpiti da macchie scure e livide. Per curare tale infermità non valevano né i consigli dei medici, né nessuna virtù medicinale: anzi o che la pestilenza non li sopportasse o l’ignoranza degli uomini (sia di medici che di maschi e femmine che non avevano alcuna scienza, ma il cui numero era cresciuto enormemente) che non capiva da dove provenisse tale malattia e pertanto non si sapesse come curarla, fece sì che non solamente pochi ne guarivano, anzi dopo tre giorni dall’apparizione dei segni, chi più e chi meno ne morivano. E questa pestilenza fu di particolare virulenza tanto che soltanto il comunicare tra un malato ed un sano determinava l’infezione di quest’ultimo, non diversamente come fa il fuoco con le cose secche o unte, che gli si sono avvicinate troppo. 

E più avanti ancora casi più gravi avvenivano, perché non solamente il parlare insieme infettava i sani, ma anche toccare i panni o qualunque cosa fosse stata toccata dalle persone malate. 
È straordinario quello che voglio dirvi, che se non fosse stato veduto da molta gente e da me, anch’io avrei avuto difficoltà a crederci, meno che mai a scriverlo, anche se l’avessi udito da persona degna di fede. Dico che la trasmissione della malattia dall’uno all’altro fosse tanto efficace, che non solamente da uomo a uomo, ma, cosa assai maggiore, fece sì che una cosa posseduta da un malato, o morto di pestilenza, toccata da un altro animale, che non sia uomo, non solamente contaminasse all’animale la malattia, ma lo conducesse addirittura alla morte. 

Ho visto con gli occhi miei, come ho detto precedentemente, che, essendo gli stracci di un uomo morto di pestilenza gettati in strada e avventandosi su di essi due maiali e, secondo il loro costume, avvicinandosi prima col muso, poi presi per i denti e dopo averli scossi con la bocca, dopo poco tempo, dopo alcuna contorsione, come se avessero assunto del veleno, ambedue sopra i panni malamente gettati in strada caddero morti. Da queste cose e e da altri simili nacquero sospetti e paure in quelli che rimanevano vivi, tutti attenti ad un solo fine: evitare ed allontanare i malati, credendo, così, di salvarsi.


Rispondi nei commenti:

  1. Cosa erano i gaviccioli?
  2. A un certo punto del testo compare una similitudine con il fuoco. Spiega.
  3. Cosa accadde all'inizio della primavera?
  4. Sintetizza l'episodio dei maiali.
  5. Quali rimedi erano efficaci contro il diffondersi della malattia?

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3 commenti:

Unknown ha detto...

La peste a Firenze di G.Boccaccio
Risposte
1)I "gaviccioli "erano dei rigonfiamenti,dilatazione dei vasi sanguigni detti bubboni o in volgare "gaviccioli ".
2)la similitudine fa riferimento al fatto che. ..nessun uomo o animale che veniva a contatto con la malattia "la peste "non poteva essere immune al contagio. Il fuoco=peste,cose secche o unte=persone o animali.
3)all'inizio della primavera la peste incominciò a mostrare i suoi terribili effetti.
4)I maiali muoiono al contatto dei vestiti, gettati per strada, delle persone morte di peste. Quindi, questi fatti alimentarono sempre più la paura nelle persone.
5)Non esisteva alcun rimedio all'epoca.

Enzo Iorio ha detto...

👍

Andrea P ha detto...

1. I gaviccioli sono un altro modo per chiamare i bubboni, quei rigonfiamenti cutanei che la peste manifestava.
2. La similitudine con in fuoco indica la facilità con cui la peste si diffondeva, ovvero come il fuoco attacca facilmente le cose secche o unte, la peste attaccava le persone
3. A inizio primavera la peste iniziò a diffondersi e a seminare il terrore.
4. I maiali hanno contatto con dei panni di un malato gettati per strada, e muoiono dopo non molto anch'essi
5. Il testo spiega come in quel periodo né la scienza né la medicina erano in grado di dare rimedi.

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