martedì 23 aprile 2024

Il mito della caverna di Platone

Il mito della caverna è il riassunto della filosofia platonica in quanto assume un forte significato in tutti gli ambiti: differenza tra mondo sensibile e iperuranio; missione del filosofo; idea di bene che sovrasta tutte le altre idee.

Il mito della caverna si trova all'inizio del VII libro della Repubblica ed è un dialogo tra il filosofo stesso e il suo discepolo Glaucone. In particolare, Platone introduce il mito invitando a fare una comparazione tra l'educazione e la non educazione.

Si chiede, allora, di immaginare dei prigionieri all'interno di una specie di grotta la cui entrata è grande tanto quanto la grotta stessa ed è l'unica fonte di luce. Essi vivono in questo luogo da sempre incatenati al collo e alle gambe e, conseguentemente, non possono muoversi ma possono osservare solamente la parete della caverna. Dietro di loro ma lontano brucia un fuoco che è diviso dai prigionieri da una strada cinta da un muretto che somiglia ai parapetti che vengono utilizzati durante gli spettacoli con le marionette. Sulla strada degli uomini camminano parlando o rimanendo silenti e trasportano con sé degli oggetti di ogni tipo come, ad esempio, delle statuette umane o animali di pietra o legno. Le cose in comune a tutti questi prodotti è che sporgono dal muretto.

Da questa scena, a questo punto, Platone cerca di far ragionare il suo discepolo dicendo che è molto probabile che quei prigionieri della grotta in tutta la loro vita avranno visto solamente la loro ombra proiettata sull'unico muro che riescono a vedere così come le ombre degli oggetti trasportati lungo la strada. Si deduce, allora, che se i prigionieri parlassero tra di loro, per tutti loro le ombre sarebbero la verità su come sia costituita la realtà perché non conoscono altro se non ciò che fino a quel momento hanno sperimentato.

Platone introduce una nuova ipotesi: uno di questi prigionieri riesce improvvisamente a liberarsi ed è costretto a muoversi e iniziare ad esplorare ciò che lo circonda ma prima di tutto dovrà volgere lo sguardo verso la luce del sole creandogli non poca sofferenza visto che i suoi occhi sono da sempre abituati al buio della caverna. Superata questa fase, però, il prigioniero si dovrà rendere conto che le ombre, in verità, non sono la vera realtà tanto più se chiederà ai passanti che cosa stanno trasportando. Ciò creerà in lui inizialmente un senso di smarrimento e forse angoscia tanto da ritenere che la sua visione all'interno della grotta era più chiara e più veritiera di quella esterna.

Ha, quindi, bisogno di conoscere tutte queste cose gradualmente: prima le osserva all'ombra, poi riflesse nello specchio d'acqua, infine è in grado di sostenere lo sguardo verso gli oggetti in sé. Questo, però, è solo l'inizio perché potrebbe soffermarsi nell'osservare la volta celeste con i suoi astri e la luna e persino potrebbe contemplare il sole in sé di giorno. E proprio quest'ultimo passaggio è fondamentale per la sua conoscenza in quanto lo porta alla comprensione del fatto che il sole che dà significato a tutto, in quanto per Platone rappresenta l'idea del bene-bello: è lui il regolatore delle stagioni e dello scorrere degli anni così come è la matrice di tutte quelle ombre che venivano proiettate sul muro della caverna.

Raggiunto questo stato, allora, il prigioniero libero da una parte sarà felice per le sue nuove conoscenze acquisite ma dall'altra avrà compassione per i suoi compagni rimasti nella caverna. D'un tratto tutte le lodi e i premi che nella prigionia lui e i suoi compagni si erano promessi per indovinare il più rapidamente possibile quali ombre stavano sfilando davanti a loro sono vani ed inutili. Lo stesso Omero, infatti, nel XI libro dell'Odissea, al verso 489, sostiene che preferirebbe di gran lunga: "esser bifolco, servire un padrone, un diseredato, e sopportare qualsiasi prova pur di non opinare quelle cose e vivere quella vita?".
Platone, infine, ipotizza un ultimo scenario in cui il prigioniero ritorna nella grotta per far sì che i suoi compagni capiscano che il mondo fuori è diverso da come lo stanno osservando e da sempre pensato. I prigionieri, allora, penseranno che quest'ultimo, essendo stato all'esterno si sia istupidito e si sia rovinato gli occhi perciò verrà ignorato. Se, inoltre, il prigioniero liberato riuscisse a sciogliere le catene degli altri per condurli all'esterno, è probabile che i prigionieri stessi nel momento più opportuno lo uccidano.

A questo punto Platone conclude facendo un paragone tra il suo essere uomo e il mito: ciò che egli vede corrisponde alla caverna, il fuoco al sole, la contemplazione della strada al moto ascendente dell'anima verso il "luogo noetico". Al confine di tutto c'è l'idea di buono che, però, si vede molto difficilmente ma sicuramente è all'origine di tutto ciò che è bello, vero e giusto.
Fonte: Skuola.net
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