martedì 2 aprile 2024

L’isola di Pasqua e i suoi Moai

Quando, la domenica di Pasqua del 1722, tre velieri olandesi con tale Jakob Roggeveen come ammiraglio avvistano l'isola non possono credere ai loro occhi. Almeno per scegliere il nome, però, non devono sfoggiare troppa fantasia: quella che per gli abitanti locali è Rapa Nui, diventa banalmente l'Isola di Pasqua.

Vi propongo questo testo di Anna Maria Pierdomenico che racconta in che modo una civiltà, benché prospera ed evoluta, possa declinare abbastanza rapidamente e collassare fino ad estinguersi.

Il nostro viaggio tra le meraviglie del mondo moderno escluse dalla scelta delle magnifiche sette oggi ci porta in pieno Oceano Pacifico, all'Isola di Pasqua. Non poteva essere altrimenti, visto il periodo dell'anno, e allora stavolta parliamo degli enigmatici Moai.
Quando, la domenica di Pasqua del 1722, tre velieri olandesi con tale Jakob Roggeveen come ammiraglio avvistano l'isola non possono credere ai loro occhi. Almeno per scegliere il nome, però, non devono sfoggiare troppa fantasia: quella che per gli abitanti locali è Rapa Nui, diventa banalmente l'Isola di Pasqua.

Il fazzoletto di terra era già stato avvistato probabilmente dal pirata Edward Davis, col suo battello Bachelors Delight, nel 1687. Il bucaniere non aveva ritenuto utile sbarcare su quelle che pensava fossero le coste meridionali dell'America.

Non è invece certo quando gli abitanti originali giungono sull'isola, alcuni protendono per il 900, altri per il 1100, noi potremmo accontentarci di una media e dire che arrivano attorno all'anno Mille. Ma da dove vengono i colonizzatori di Rapa Nui? Pare certo che fossero polinesiani.

L'esploratore norvegese Thor Heyerdahl era convinto che arrivassero dal Perù, tanto che si imbarcò – è il caso di dirlo – nella riuscita impresa del Kon-Tiki, dimostrando che si poteva navigare dal Perù alle Isole Marchesi su una semplice zattera. Ogni evidenza scientifica dà però ragione all'ipotesi polinesiana, sebbene l'impresa di Heyerdahl rimanga comunque memorabile.

La cosa che sorprende di più gli Europei che riscoprono l'isola sono però le enormi statue monolitiche di tufo vulcanico, i cosiddetti Moai.
Spesso si pensa a questi manufatti come giganteschi capoccioni di pietra, ma va detto che la maggior parte sfoggia anche il busto, poggiato su piattaforme di basalto. Molte volte questa parte è stata interrata dal tempo.

Il profilo dei Moai, di cui rimangono circa seicento esemplari, non si può confondere. Si tratta sempre di una figura umana tagliata alla vita, con una testa allungata e rettangolare, le sopracciglia marcate, il naso prominente e le labbra sottili.

James Cook, il grande esploratore che fece una brutta fine, si stupì molto del gran numero di statue e della loro grandezza. Come poteva una popolazione così arretrata come quella dell'isola costruire tali meraviglie? E – soprattutto – perché?

Fu una vera donna pioniera a fare per prima luce sui misteri dei Moai, l'inglese Katherine Routledge, una delle prime donne a laurearsi in archeologia a Oxford, così poco ricordata da non avere nemmeno una pagina Wikipedia. Dopo un avventuroso viaggio lungo più di un anno, Katherine Routledge studiò a lungo gli abitanti dell'Isola di Pasqua, i Moai e l'antica scrittura, il rongo-rongo.

Attraverso le sue indagini, l'archeologa stabilì che la popolazione del 1914 – anno del suo viaggio – era legata a quella originale artefice delle statue. La studiosa trovò inoltre 394 statue incompiute nei pressi del vulcano Rano Raraku, provando come le stesse fossero costruite. Il loro abbandono faceva intuire che – dopo un periodo di relativa prosperità – la popolazione di Rapa Nui aveva conosciuto un grave declino.

Si comprese in seguito che la causa della decadenza era dovuta agli stessi abitanti, che avevano sfruttato indiscriminatamente le risorse dell'isola, spesso proprio per costruire le statue. Il territorio era stato disboscato per costruire le slitte con cui gli isolani le trasportavano, erbe e cespugli usati come combustibile e la fauna era andata diminuendo con la distruzione dell'habitat.

Non solo, la mancanza di risorse aveva portato a contrasti, e vere guerre, tra gli abitanti stessi. Un piccolo ecosistema distrutto dall'uomo, una vicenda che ci fa da monito per quello che sta succedendo su larga scala sul nostro pianeta. La storia dell'isola prosegue tra episodi di schiavismo e vicende non proprio edificanti. Oggi l'Isola di Pasqua appartiene al Cile e della popolazione originale sopravvivono quasi quattromila abitanti.

Alcuni Moai originali si trovano fuori dall'isola, tre per la precisione: uno ad Amburgo, nei pressi dell'Arcichiesa di San Michele, uno al British Museum di Londra e un altro al Musée du Quai Brainly a Parigi. Curiosamente, due Moai costruiti ex novo ma da veri abitanti di Rapa Nui si trovano in Italia, a Vitorchiano e a Chiuduno.

E il rongo-rongo? Quello non è stato ancora decifrato, a meno di non voler dare credito all'ipotesi formulata da Qui Quo e Qua nell'avventura "Zio Paperone e il tesoro di Pasqua" del 1980. Nella storia, i tre cuginetti riescono a tradurre un'iscrizione su un Moai: "Eggel Ihc Omecs".
Cosa vuol dire? Provate a leggerla al contrario.

Dalla pagina Facebook di
Anna Maria Pierdomenico
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